Le multe derivanti dalla verifica dei green pass sono legittime ?
Come noto, dallo sorso mese di agosto, gli esercenti dei luoghi pubblici e aperti al pubblico dove è necessario mostrare il green pass per accedere, sono tenuti a verificare tramite l’app “verificaC19” del Ministero della Salute se la certificazione verde è valida. Il controllo viene quindi completato verificando i dati anagrafici con un documento di identità. Analogo controllo è stato imposto con il recente Decreto Legge n. 1/2022 che obbliga gli ultra cinquantenni al possesso del super green pass ( che si ottiene solo per i guariti e i vaccinati con ciclo completo) per poter accedere a bar, ristoranti ed altri esercizi indicati nel decreto.
Tali norme quindi obbligano gli esercenti ad effettuali controlli e verifiche , con diffusione e trattamento di dati personali, da parte di persone che non sono a ciò autorizzate.
Non solo, si chiede indirettamente alle gente di circolare con documenti di identità in tasca quando non è obbligatorio farlo, magari solo per andare al ristorante o al bar, limitandone la libertà.
Ma la questione che rende illegittima la sanzione che – lo ricordiamo – va da 400 a 1.000 euro, sia a carico dell’esercente che del cliente, nasce a monte. Il super green pass è rilasciato dalle autorità sanitarie a seguito di vaccinazione, tampone negativo o guarigione da covid, mentre il green pass base anche a seguito di tampone negativo
Per questo, al momento della vaccinazione, è richiesta la firma dell’informativa privacy sulla protezione dei dati personali nella quale il soggetto ricevente si impegna a non divulgarli al di fuori degli usi sanitari strettamente riservati.
Poiché la sanzione scaturisce da una verifica di dati personali (nome, cognome e data di nascita) da parte di soggetti non autorizzati e utilizzati per fini diversi da quelli strettamente sanitari, vi è un abuso evidente e una violazione di legge sulla privacy.
Più precisamente, il paziente, al momento della vaccinazione, firma un documento che, rinviando al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, non consente la divulgazione dei propri dati al di fuori dei confini strettamente sanitari.
Poiché i dati raccolti a fini specifici sanitari vengono utilizzati per scopi amministrativi e di controllo , tutte le sanzioni derivanti sono annullabili se impugnate in tribunale. Si profila, così, un gran lavoro inutile per le forze dell’ordine chiamate a redigere verbali, come è stato lo scorso anno con le multe comminate a seguito di false autocertificazioni sugli spostamenti, nonché un intasamento, nei mesi a venire, dei procedimenti giudiziari con conseguente rallentamento dell’attività ordinaria per cause che meritano più attenzione.
Avv. Piero Mancusi